L’Eroe
Premessa
Il viaggio dell’eroe di Christopher Vogler (di cui si è già detto qualcosa nelle precedenti fronde sul monomito e sugli archetipi) è un testo senz’altro utile, ma ha alcuni difetti: innanzitutto, i casi studio. A rischio di sembrare polemico, dirò che non capisco la decisione di spiegare i concetti salienti basandosi unicamente su opere cinematografiche. Mi spiego: il sottotitolo del manuale è La struttura del mito ad uso di scrittori di narrativa e di cinema, da cui viene che il cinema è perfettamente centrato nell’architettura argomentativa del manuale. Ma ho due obiezioni.
La prima: se i destinatari dell’opera sono gli scrittori di narrativa e di cinema, perché mancano casi studio tratti dalla letteratura? Forse con “narrativa” si intende la narrazione in senso lato? Ma anche il cinema è narrazione, quindi perché fare un distinguo? Peraltro, anche dove si potrebbe attingere alla letteratura, come nel caso del Meraviglioso mago di Oz, Vogler privilegia la pellicola: «Faccio riferimento spesso a Il mago di Oz perché è un film classico che la maggior parte delle persone ha visto» (p. 85). Plausibile, forse anche vero trent’anni fa, ma perché non citare il romanzo da cui il film è tratto? Perché non fare esempi letterari? È una scelta? Nel caso, è poco comprensibile. È ignoranza? Se così fosse, sarebbe grave…
Seconda obiezione: concordo che in linea generale una narrazione sia una narrazione, ed essendo una tautologia è difficile dissentire. Ma se ciò fosse vero in senso assoluto, avremmo un solo modo di raccontare storie. Invece ne abbiamo molti e diversi fra loro: scrittura, cinema, teatro, fotografia, pittura, scultura, arte performativa… Molti punti di questo elenco sono peraltro “termini ombrello” che raccolgono numerose declinazioni di una stessa disciplina. Inoltre va da sé che modi espressivi diversi richiedono processi creativi, esecutivi e di fruizione diversi. Scrivere un film non è come scrivere un romanzo, anche se alla fine, in entrambe le opere potremo riscontrare lo schema del viaggio dell’eroe e gli archetipi.
Un altro difetto che ho trovato si trova all’inizio del Capitolo terzo, sull’archetipo dell’Eroe (di cui parliamo in questa fronda). Dopo due capitoli introduttivi, Vogler entra finalmente nel vivo della materia; tuttavia, la premessa etimologica sulla parola “eroe” ha qualche stortura che è bene raddrizzare. Vediamo di che si tratta.
«La parola “eroe” viene dal greco e la radice significa “proteggere e servire”. Un eroe è qualcuno disposto a sacrificarsi per gli altri».[1]
Tre informazioni, una corretta, due un po’ fuori fuoco.
- «La parola “eroe” deriva dal greco.» Corretto.Ἥρως (hèros) è la parola greca da cui deriva senza mediazioni il latino heros, che a sua volta ha generato le varianti romanze, filtrando anche in lingue germaniche (ingl. hero) e non solo.
- «La radice di “eroe” significa “proteggere e servire”.» Affermazione incompleta. Ho notato che la letteratura anglosassone fa derivare la parola “eroe” dalla radice proto-indoeuropea *ser-, riscontrabile per esempio nel verbo latino servare (conservare, proteggere). Più spesso, invece, i lessici etimologici italiani attribuiscono alla parola il significato originario di “principe” o “signore”, con l’accezione di “uomo valoroso (in battaglia)” e quindi degno di comandare sugli altri, derivato dal sanscrito vīra (वीर, uomo, capo), riconoscibile nel latino vir “uomo” e i suoi derivati (virile, virilità ecc.). Ad ogni modo, della trafila etimologica ho già parlato qualche tempo fa, in L’archetipo cangiante. Wu Ming 4 e il canone proteiforme dell’Eroe.
- «Un eroe è disposto al sacrificio.» Parliamone. Che un capo si comporti da “eroe” e protegga e serva la propria comunità è un portato semantico concettualmente coerente alla funzione di un leader, ma Vogler deriva questa accezione da premesse etimologiche, quando in effetti nell’etimologia non ci sono.
Bene, sgombrato il campo da queste piccole impurità, cominciamo.
Le funzioni dell’Eroe
La parabola dell’Eroe nei racconti, l’abbiamo già detto, è sintetizzabile con i tre momenti del monomito individuati da Campbell in L’eroe dai mille volti: separazione-iniziazione-ritorno. A una fase di equilibrio nella vita dell’Eroe, subentra una rottura, rappresentata da un bisogno, che lo spinge ad allontanarsi dal mondo conosciuto e ad affrontare l’ignoto, superando prove e pericoli, e a tornare infine con la soluzione e un bagaglio di esperienze nuove che non solo ricompongono lo status quo iniziale, ma lo rendono migliore.
Immedesimazione
L’Eroe di una storia coincide con il protagonista: su di lui è puntato il faro principale della narrazione ed è quindi con lui che il lettore generalmente intreccia il legame più profondo, basato sull’immedesimazione.
Per questa ragione, sottoliena Vogler, gli Eroi sono mossi da impulsi universali, condivisibili da tutti, e sono fallibili: un Eroe invincibile, che non sbaglia mai, moralmente impeccabile, sempre attento e premuroso verso il prossimo non desta alcun interesse nel lettore, perché nessuno sarà mai come lui. Al contrario, il lettore deve potersi identificare nell’Eroe, anzi deve volersi identificare con lui.
Anche nell’Eroe più iperbolico, i difetti mettono in risalto la sua umanità, che entra in risonanza con la nostra permettendoci di rivederci in lui, affezionarci a lui e di comprenderlo. Malgrado l’Eroe abbia qualità fisiche o intellettuali fuori dal comune, spesso vive e si muove in un contesto dove la sua superiorità rischia di essergli d’ostacolo o in cui deve rivedere il proprio modo di agire per adattarsi al contesto e non danneggiare chi gli sta intorno.
L’Eroe è dunque ammirevole: le sue caratteristiche positive unite agli sforzi profusi per mitigare i propri difetti e rimediare alle proprie mancanze, lo rendono degno di ammirazione da parte del lettore, che apprezzerà il suo arco di trasformazione e la sua presa di coscienza.
L’Eroe cresce e agisce
In quanto protagonista della storia, l’Eroe deve affrontare un percorso di cambiamento che, necessariamente, sarà più accentuato rispetto a quello di altri personaggi. Il fuoco della storia si concentra su di lui che, nel corso della sua avventura, si muoverà fisicamente nella geografia del racconto, sarà chiamato a prendere decisioni spesso difficili e a scendere a compromessi, ma anche a ricavarne insegnamenti importanti e dunque esperienza. In tutto ciò, è spesso dell’Eroe l’onere di compiere l’azione risolutiva che porterà alla risoluzione il conflitto alla base della storia.
L’Eroe si sacrifica e muore
Compito dell’Eroe è molto spesso anche quello di sacrificarsi per un bene superiore. Il sacrificio non contempla necessariamente la morte: molto spesso si tratta di una rinuncia a una parte importante di sé o di ciò che ha conquistato con fatica. Ma è pur vero che talvolta l’Eroe è chiamato a donare la propria vita per ottenere la conquista suprema, di cui lui non beneficerà, ma di cui potranno godere altri personaggi. «Gli Eroi più efficaci» scrive Vogler «sono quelli che sperimentano il sacrificio.»[2]
Tipi di Eroe
L’archetipo dell’Eroe può essere considerato come un grande contenitore dentro il quale è possibile rintracciare numerosi tipi di Eroe, declinazioni del modello di partenza che nascono in virtù delle più diverse esigenze espressive.
L’Eroe classico
È il tipo di Eroe più comune: è energico, ottimista, tenace nel perseguire il suo obiettivo. Non è certo immune da cadute, anche rovinose, ma trova in sé stesso o in chi lo circonda la forza necessaria per risollevarsi e affrontare con rinnovato vigore le prove che lo attendono.
L’Eroe riluttante
Al contrario del modello classico, l’Eroe riluttante non ha in sé la necessaria motivazione per affrontare la sua avventura, nella quale spesso capita suo malgrado e dopo molte incertezze. È più interessante dell’Eroe classico in quanto la sua motivazione scaturisce da dinamiche interiori più profonde, sommovimenti dell’animo che derivano dalle relazioni con altri personaggi. È quindi un tipo più complesso e stratificato, decisamente più umano e vicino al lettore.
L’Antieroe
Il nome di questo tipo è fuorviante: potrebbe sembrare l’opposto dell’Eroe, l’antagonista, ma non è così (basti sapere, per il momento, che l’antagonista corrisponde più spesso all’archetipo dell’Ombra, di cui parleremo in futuro).
L’Antieroe è un tipo dai marcati tratti oscuri: spesso ombroso, distaccato dalla società in cui vive, è molte volte un reietto o un rinnegato, percepito negativamente da chi gli sta vicino per via di una generale incomprensione figlia del pregiudizio oppure di un effettivo sbaglio (più o meno grave) commesso in passato, ma che non lo rende moralmente negativo.
Il carattere dell’Antieroe è ruvido, cinico; il suo modo di agire è spesso pragmatico, brusco e anticonvenzionale; non disdegna di infrangere le norme sociali e le leggi della società in cui vive, né di compiere il male se necessario. Ha spesso un passato travagliato che lo ha reso ciò che è e che lo assilla con i suoi fantasmi.
L’Antieroe è affine all’Eroe tragico: sebbene non votato a una sconfitta totale, la partita contro i suoi demoni interiori gli risulta sempre difficile e anche quando riesce a conquistare l’oggetto esterno del suo desiderio, spesso soccombe all’oscurità che si porta dentro.
L’Eroe comunitario
Frequenti nella letteratura fantastica, gli Eroi comunitari sanno di non poter fare tutto da soli e per questo, grazie anche al loro innato carisma, si circondando di compagni dalle qualità più diverse che li aiuteranno a portare a termine il loro arco narrativo.
L’Eroe solitario
Al contrario dell’Eroe comunitario, il solitario si muove al di fuori della società. Non è per forza un reietto o un antieroe, ma è indipendente dalla maggior parte delle persone sia a livello affettivo/sentimentale, sia a livello morale. Alla fine del suo arco narrativo, spesso per lui si prospetta la scelta tra il tornare allo stato di cose originario o rimanere nel mondo straordinario.
L’Eroe catalizzatore
Diversamente dagli altri tipi di Eroe che Vogler analizza, il catalizzatore ha la caratteristica di cambiare poco o non cambiare affatto nel corso del racconto. Se il vettore principale di una storia si muove da una situazione statica, a una di cambiamento e disordine per approdare infine a un nuovo ordine, ecco che l’Eroe catalizzatore attraversa questa parabola senza esserne influenzato più di tanto; in altre parole il suo arco di trasformazione sarà molto modesto se non del tutto piatto.
E allora che senso ha un Eroe che resta uguale a sé stesso dall’inizio alla fine di un racconto? La funzione di un catalizzatore è quella di provocare una trasformazione nei personaggi e nella realtà che ha intorno a sé, più che di cambiare sé stesso.
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Per quanto fondamentale, una narrazione non si regge su un solo pilastro. Spesso inesperto all’inizio della sua avventura, l’Eroe ha talvolta bisogno di indicazioni che lo aiutino a orientarsi nel mondo interiore dei suoi desideri e capacità inespresse, nonché nel mondo ordinario a cui appartiene ma del quale non padroneggia ancora appieno le regole. In questo interviene la figura del Mentore, di cui parleremo la prossima volta.
Rimanete sintonizzati!
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Note
[1] Christoher Vogler, Il viaggio dell’eroe, Roma, Dino Audino Editore, 2020 (nuova ed.), p. 43.
[2] Ivi, p. 45.