Gli archetipi letterari
Benché il “viaggio dell’eroe” (ne ho parlato qui) prenda questo nome perché in ogni storia l’Eroe – o protagonista – ha l’espressa funzione di portare avanti l’azione principale[1] ed è suo il principale arco di trasformazione, esso non è l’unica né spesso la più importante figura all’interno di un racconto.
“Figura”, ho detto, non “personaggio”. E non a caso.
L’Eroe infatti non è un personaggio, ma ne rappresenta piuttosto un tipo, anzi un archetipo. La parola “archetipo” deriva dal greco archè (origine) + typos (modello) e designa dunque l’esemplare di partenza da cui discende una schiera di derivati: James Bond, Aragorn, Jean Baptiste Adamsberg, Agilulfo dei Guildiverni o Jim Hawkins sono personaggi quanto più diversi fra loro, ma tutti sono modellati sull’archetipo dell’Eroe.
Ruoli o funzioni degli archetipi
In accordo con Christopher Vogler[2], possiamo definire gli archetipi come ruoli o funzioni (fissi o mutevoli all’interno del racconto) di un personaggio. Mutuati dalla psicologia junghiana, gli archetipi rappresentano una rosa di personalità-maschere che, se intese come ruoli fissi, i personaggi di un racconto possono indossare per tutta la durata della narrazione; oppure, se intese come funzioni, possono cambiare mano a mano che l’intreccio si sviluppa.
Per fare qualche esempio: Harry Potter incarna il ruolo dell’Eroe per tutta la durata della saga. Al contrario, Ged – il grande mago del Ciclo di Earthsea scritto da Ursula K. Le Guin – cambia la sua funzione nel corso del tempo: Eroe nel primo romanzo, ricopre un ruolo più marginale nel secondo, a favore di nuovi personaggi, avvicinandosi così alla funzione di Mentore, che adotterà appieno dal terzo romanzo in poi.
Un personaggio può anche rappresentare più funzioni contemporaneamente: si pensi a Walter White di Breaking Bad: Eroe puro all’inizio della storia, si corrompe sempre di più nel corso delle stagioni assumendo i caratteri oscuri dell’Ombra (questo passaggio, peraltro, è il motore della serie), non per forza malvagia, ma che pur animata da buoni propositi percorre le vie del male per realizzarli. In più, possiamo considerare Walter White come Mentore di Jesse Pinkman.
Archetipi maggiori e declinazioni
Vogler seleziona sette archetipi principali, ma – lo specifica anche lui – ne esistono moltissimi e anche di moderni, derivati sempre però da una rosa di figure maggiori. Nello specifico, Vogler individua:
- L’Eroe
- Il Mentore
- Il Guardiano della soglia
- Il Messaggero
- Il Mutaforma (Shapeshifter)
- L’Ombra
- Il Trickster
Da questi possiamo derivare tutti gli altri, a seconda delle esigenze drammaturgiche della nostra storia. Così, per esempio, il nostro Eroe potrà essere un classico Paladino senza macchia e senza paura; o un Prescelto destinato alla vittoria finale grazie a grandi sforzi e sacrifici; o un Rinnegato avversato da tutti ingiustamente o a causa di un errore del passato; oppure ancora un Eroe tragico, che al contrario del Prescelto è votato alla sconfitta malgrado i suoi sforzi e i suoi sacrifici; il nostro Mentore potrà essere un vecchio e potente Mago o un saggio Maestro orientale, un Professore capace e sensibile, un Bibliotecario dalle conoscenze incomparabili ecc. L’Ombra potrà incarnarsi in un semplice Rivale oppure nel Conquistatore del mondo, in un Distruttore, in un Divoratore, in un Serial killer e così via.
Contorni
Così come il monomito è un solco sul quale ricalcare la parabola di una storia, allo stesso modo gli archetipi funzionano per i personaggi che quella storia andranno ad animare. Non si tratta quindi, ancora una volta, di punti fissi, regole immutabili della narrazione, ma di abbozzi, contorni, linee di forma che aiutano l’autore a modellare un personaggio nei suoi tratti fondamentali. Tratti che andranno naturalmente arricchiti e particolareggiati in maniera coerente all’organismo narrativo che si vuole creare e ai suoi meccanismi.
I sette archetipi di Vogler devono essere presenti in ogni storia per renderla fruibile e credibile? Naturalmente no: così come non è necessario seguire ogni singola tappa del viaggio dell’eroe come è stato estrapolato dalla tradizione, non è affatto necessario che una storia, per essere efficace, presenti tutti gli archetipi maggiori qui menzionati. L’adozione o la creazione di archetipi e l’adesione alla parabola del monomito sono in certa misura pratiche istintive e connaturate al gesto stesso della narrazione, perciò volenti o meno, ne riscontreremo comunque le tracce nella struttura della nostra opera; dall’altra parte, sono strumenti utili da conoscere e ancora più utili da manipolare, sempre in accordo alle esigenze espressive della storia che vogliamo raccontare.
***
Note
[1] “Protagonista” è etimologicamente il pròtos (primo) agonistès (derivato di ago, “agire”, letteralmente “combattente” [cfr. “agonista”, “agonismo”, “agone”], poi “colui che agisce [sulla scena]”, quindi “attore”), da cui l’accezione di “attore principale”.
[2] Il viaggio dell’eroe, Roma, Dino Audino Editore, 2020.