Le radici del male
di Maurice G. Dantec
*** Il seguente pezzo può contenere tracce di spoiler ***
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Un felice recupero
Le radici del male di Maurice Dantec (1959-2016) è un felice recupero di Minimum Fax, che nel febbraio 2023 esce in libreria con una riedizione di questo romanzo edito la prima volta nel 1995, in Francia, per i tipi di Gallimard. Le notizie più lontane che ho trovato di una prima edizione italiana risalgono al 1999: un brossurato dalla discutibilissima copertina pubblicato dalla defunta Hobby&Work[1] e con tutta probabilità commercializzato solo in edicola (il che la dice lunga sulla considerazione di cui ha ingiustamente goduto).
Tant’è. Minimum fax, invece, ci restituisce una storia che ha trascorso peccaminosamente sotto traccia (almeno da noi) i suoi ultimi venticinque anni.
Le radici del male è un romanzo che sa anticipare con precocità e accuratezza la nostra contemporaneità e le sue ombre. Certo, ne mette in scena una rappresentazione di una ferocia a tratti caricaturale, ma le grandi e riconoscibili premesse alla base degli orrori che dischiude al lettore sono due: la prima, una socialità deviata e pervasiva, scaturita da un’interconnessione compulsiva tramite la Rete, che da una parte ci mette a disposizione strumenti formidabili di conoscenza, informazione e comunicazione, dall’altra ci rende vulnerabili a uno sdoppiamento e a una diluzione delle nostre vite appresso ad apparati virtuali, non certo malevoli di per sé, ma pericolosi da maneggiare con troppa spensieratezza. La seconda: l’ormai quotidiana psicosi del complottismo[2], qui patologica spina dorsale del personaggio di Andreas Schaltzmann, ma fantasma onnipresente anche fuori dalla finzionalità della pagina, e che nasce a sua volta dalla ricerca ossessiva di un nemico, o dal malessere mai diagnosticato che porta un individuo a cercare ovunque e in qualunque maniera occasioni di rivalsa sul prossimo.
Su questa base si innesta un terzo ramo, fantascienza nel 1995, oggi molto meno: il ruolo (opportunità o pericolo?) dell’intelligenza artificiale.
La trama
Andreas Schaltzmann è un derelitto che uccide e appicca incendi nella Francia dei primi anni Novanta. È convinto di vivere in un regime segreto instaurato dai nazisti in combutta con gli alieni, e non appena ha l’occasione per eliminare le forze nemiche, non esita ad agire. Quando viene catturato, gli sono imputati numerosi omicidi, alcuni dei quali tanto orribili da guadagnargli il soprannome di “Vampiro di Vitry”. Ma qualcosa non quadra: le ultime due morti, le più efferate, non sembrano riconducibili a lui: né per il modus operandi, né per le discrepanze tra i suoi spostamenti e le date del decesso delle vittime, nonché i luoghi dei ritrovamenti. Ma Schaltzmann è il capro espiatorio perfetto, perciò gli affibbiano anche quelle uccisioni.
Soltanto l’ingegnere informatico Arthur Darquandier, insieme allo psicopatologo Stefan Gombrowicz e alla sua assistente Svetlana Terekhovna, ipotizza invece l’esistenza di un altro assassino che uccide sfruttando la popolarità di Schaltzmann per passare inosservato. Nutre così la sua “neuromatrice” chiamata Dottor Schizzo – una complessa intelligenza artificiale – di qualsiasi informazione riguardi Schaltzmann e i suoi omicidi, accertati e presunti. Il responso del Dottor Schizzo va al di là di ogni previsione: le ultime due vittime imputate a Schaltzmann sono morte effettivamente per mano di qualcun altro, ma alle sinapsi quantiche dell’IA appare altrettanto chiaro che l’assassino in questione non è uno, né sono due, ma un intero sistema criminale, vasto, sotterraneo e interconnesso, attivo da decenni oltre i radar di qualsiasi indagine, che ha trucidato centinaia di persone rimanendo impunito e che, alla soglia del nuovo millennio, si sta preparando a un’ecatombe senza precedenti.
Sottoterra
Dantec è un autore visionario e le tenebre che affollano il principio del suo immaginario Terzo millennio non sono poi così diverse da quelle in cui arranchiamo noi. La prospettiva di un futuro quasi del tutto informatizzato – ammesso che ancora qualcosa sfugga alle maglie della Rete – oggi non è più argomento di fantascienza.
Dall’altra parte, il fantasma del futuro in letteratura è stato di frequente rappresentato in toni tetri e profondamente pessimistici.
Nell’antichità classica la sorte dell’uomo dopo la morte era di farsi ombra e vagare negli inferi per l’eternità (qualcosa in proposito si è già detto qui). La promessa di salvezza del Cristianesimo – per citare un culto fra i tanti – ha prodotto milioni di morti in nome del divino. Il progresso del dottor Frankenstein consiste nel sovvertire la morte abbandonandosi al complesso di dio e nel creare un mostro crudelmente apolide nella tessuto dell’esistenza: non solo il mostro non dovrebbe esistere ma, come per una beffa, è il frutto della perversione delle legge naturale più severa. Il fantasma del Natale futuro di Dickens non è che un angelo della morte venuto ad annunciare un avvenire nefasto.
Insomma, l’uomo cammina verso l’ignoto, e in questo ignoto è sempre notte fonda. A meno che non divampi il fuoco di qualche culto millenaristico a rischiarare la via.
Dantec descrive molto bene questa eventualità: il delirante culto del gruppo ribattezzato “Quelli delle Tenebre” è una fiamma fredda e aberrante che illumina il sentiero a un gruppo di assassini seriali in costante crescita.
O forse l’omicidio rituale è solo il nascondiglio di un intelletto perfettamente razionale, per quanto deviato – quello di Irène Granada –, dietro lo schermo del pensiero magico, terreno comune alle religioni e tanto capace di fare proseliti.
Torturare e uccidere esseri umani in virtù di una fede non richiede spiegazioni. O meglio, suggerisce – ma non dà – soluzioni misticheggianti all’enigma investigativo, risposte all’apparenza introvabili perché nascoste o inaccettabili, annegate in profondissimi laghi di sangue.
E tuttavia il male si svela ancora una volta in tutta la sua inconsistenza, priva di qualità e dimensioni, al netto dell’efferatezza: dissipati gli incensi della liturgia misterica, infatti, non resta che un manipolo di individui che gode nel fare del male nelle maniere più nefande.
Congedo
Dantec scrive un thriller feroce dalle fortissime tinte gore che si cala in abissi di tenebrosa disperazione e perversione.
A tratti un po’ prolisso, trovo che avrebbe funzionato altrettanto bene – forse meglio – se alleggerito di almeno un centinaio di pagine, per fugare diffusi e a tratti marcati cali di ritmo che affliggono un flusso narrativo altrimenti impeccabile.
Peccato anche per i refusi, un po’ troppo numerosi in rapporto al costo del volume: 21 euro per una riedizione di un romanzo di trent’anni fa è una richiesta surreale per le tasche del lettore. Ancor più se consideriamo che il lavoro di redazione è molto alleggerito dal fatto che la versione italiana è la medesima dell’edizione 1999. Sarebbe bastato un paio di riletture, con tutto che al momento della pubblicazione in casa editrice lavoravano ben cinque persone in qualità di editor e tre in redazione, oltre a un’altra persona espressamente indicata come correttore di bozze. Non me lo invento io, lo si legge nei Titoli di coda al volume[3].
Piccoli fastidi, comunque, niente che incida davvero sulla qualità complessiva dell’edizione, tantomeno su quella dell’opera, che merita di essere letta.
Perciò leggetela. E rabbrividite.
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Note
[1] α 1989 – ω 2018.
[2] Fuori dai gruppi Facebook e Telegram di ultra-cinquantenni guardinghi, nell’era post-Covid sembra socialmente accettato come bizzarra estrosità, un tratto eccentrico di certe persone considerate tuttalpiù scemi del villaggio, ma che in verità stanno male e avrebbero serio bisogno di incontrare uno specialista di igiene mentale.
[3] P. 645.