Il Mentore
Nessuno basta a sé stesso, o come recita uno dei più famosi sonetti di John Donne, No man is an island entire of itself. Nemmeno l’Eroe più virtuoso andrebbe da nessuna parte senza l’aiuto di qualcuno che gli abbia insegnato i rudimenti di ciò che sa o a sfruttare al meglio le sue capacità o i suoi poteri; o di qualcuno che nel presente gli indichi la direzione giusta, colmi le sue lacune, gli sia di supporto nelle difficoltà… E questo qualcuno incarna l’archetipo del Mentore.
Le funzioni del Mentore
Il Mentore è generalmente una figura carismatica, spesso in là con gli anni e quindi di grande esperienza; è una persona che per alcuni aspetti ha vissuto un percorso affine a quello dell’Eroe, ha maneggiato la sua stessa materia e ha fatto errori simili a quelli che potrebbe compiere lui, ma molto prima, e in virtù di questo è in grado di anticiparli, offrire risposte a quesiti che mettono in crisi il protagonista, aiuti che incidono sulla sua formazione ed evoluzione, e che sono tanto più efficaci quanto meno sono risolutivi nell’immediato. Sembra un controsenso, è vero, ma se il Mentore risolvesse in prima persona i dilemmi dell’Eroe, di quest’ultimo non avremmo bisogno né ci importerebbe molto, dal momento che non sarebbe lui ad avere in mano la chiave per risolvere la situazione e non avrebbe nemmeno l’opportunità di cambiare. Un buon Mentore fornisce gli strumenti adatti allo scopo. Scoprirne le potenzialità e imparare come e quando usare questi strumenti con efficacia spetta all’Eroe.
In quanto archetipo, anche quello del Mentore è una figura, una maschera che i personaggi possono indossare o smettere, e che possiamo ritrovare in più personaggi contemporaneamente. Più la storia è complessa e articolata, più è facile che l’Eroe incontri più Mentori lungo il cammino; ciascuno di essi gli fornirà strumenti diversi per affrontare l’avventura principale o per ricomporre situazioni interiori o snodi minori della trama.
Così, per esempio, nella saga potteriana, Harry incontra numerosi mentori: il mezzogigante Hagrid, che lo introduce al mondo magico; Albus Silente, il cui occhio sarà sempre fisso su di lui; Arthur e Molly Weasley; Remus Lupin; Sirius Black; e poi ancora, Severus Piton, benché per molta parte della saga non si direbbe; e persino i Dursley… Sì, anche loro.
Restiamo su questa linea, provando ad analizzare i vari Mentori di questa saga letteraria.
Rubeus Hagrid
Potremmo definire Hagrid come il Mentore cicerone: la sua figura ha il compito di introdurre Harry al mondo della magia, scortandolo alla locanda del Paiolo magico e rivelandogli il passaggio per Diagon Alley, anticamera dell’universo che ha Hogwarts come centro di gravità. Hagrid accompagna il giovane Harry nel suo allontanamento dal mondo normale e gli dà le prime informazioni al riguardo (un po’ troppe a volte…), connotando di meraviglia ogni aspetto della nuova realtà che il protagonista si accinge a esplorare. In sintesi, si può dire che questo tipo di Mentore, come una bussola, ha la funzione di orientare l’Eroe nel suo primo contatto con la geografia sconosciuta dell’ignoto.
Albus Silente
Il preside di Hogwarts è la figura che nella saga potteriana si avvicina di più all’immaginario condiviso del Mentore fantastico, l’archetipo del “Vecchio saggio” di Campbell: anziano, canuto e dalla barba lunga, estremamente autorevole ma pacato nei modi, contornato da un’aura di leggenda che suggerisce una conoscenza e una maestria nelle arti magiche impareggiabili. Non per niente è l’unica entità (insieme alla morte) di cui Lord Voldermort abbia paura.
Silente non è però un compagno d’avventura di Harry (al contrario, per esempio, di Gandalf rispetto a Frodo), né lo addestra. I punti di contatto tra i due non sono poi così tanti e si dovrà arrivare al Principe mezzosangue per vederli intraprendere un viaggio insieme. Ma a quel punto, ormai vicini al capitolo finale, si può dire che Harry sia ormai più che svezzato.
Ciononostante, gli interventi del vecchio preside sono spesso provvidenziali e molto chiari nell’identificarlo come un Mentore donatore, ovvero colui che dona al protagonista un oggetto magico in grado di volgere a suo favore situazioni disperate sbloccando un impasse, fornendo sostegno o salvandogli la vita.
Si pensi alla Pietra filosofale, in cui Harry riceve per Natale il leggendario mantello dell’invisibilità. In verità apparteneva a suo padre James, ma dopo la sua morte Silente lo ha custodito per undici anni e infine lo ha recapitato al giovane mago.
Si pensi ancora alla Camera dei Segreti, in cui l’invio della fenice da parte del preside si dimostra più che fondamentale: Fanny[1] porta con sé il Cappello parlante nel quale, come se fosse un fodero, si materializza la spada di Godric Grifondoro, cimelio dell’omonima casata, e oggetto magico che aiuta Harry a sbarazzarsi del basilisco.
Il donatore può dispensare non solo oggetti magici, ma anche preziosi consigli o conoscenze, utili strumenti se non la vera e propria chiave per venire a capo di situazioni difficili. Così è nel Prigioniero di Azkaban, dove Silente consiglia a Harry ed Hermione di usare la Giratempo per tornare nel passato e salvare la vita a Fierobecco e poi a Sirius Black.
I signori Weasley (e i Dursley)
Potremmo definire Molly e Arthur Weasley come dei Mentori familiari: la definizione si spiega da sé, il loro ruolo è quello di costituire una famiglia per Harry. La loro funzione è più psicologica che pratica: in seno alla famiglia Weasley, Harry – un orfano, come ben sappiamo – scopre una dimensione che non ha mai conosciuto, può finalmente costruire rapporti paritari di fiducia e affetto, che valicano la semplice amicizia per approdare al calore (reale e simbolico) di un focolare domestico. Molly e Arthur accolgono Harry in casa loro come un ospite soltanto per il breve momento dei convenevoli, dopo i quali inizieranno a considerarlo come un membro effettivo della loro grande famiglia. Con loro Harry sperimenterà il calore umano che non ha mai provato nei lunghi anni trascorsi con i Dursley, i suoi primi Mentori, a ben guardare.
Ma in che modo zio Vernon, zia Petunia e Dudley possono essere considerati dei Mentori? Sono odiosi, è vero, e spesso gratuitamente crudeli nei confronti di Harry, ma non sono cattivi. Mi spiego: non voglio assolverli. Quello che intendo è che da un punto di vista squisitamente narrativo non sono i cattivi della storia. Detto questo, restano i gretti, dispotici, ignoranti, perbenisti e pavidi provincialotti che sappiamo… Ma non si dimentichi che Albus Silente affida a loro e non ad altri il piccolo Harry in fasce: se ne deduce che il compromesso doveva essere vantaggioso.
Ma, andando al sodo: che tipo di Mentore sono di Dursley per Harry? Chiamiamoli Mentori involontari: è chiaro che di insegnare qualcosa al giovane Harry non hanno né l’intenzione né la consapevolezza, ma la loro distanza emotiva, che si trasforma spesso in ostilità, costringe Harry a confrontarsi fin da giovanissimo con una bolla di solitudine e marginalità in cui nulla per lui è scontato, nulla è facilmente raggiungibile e ogni conquista deve essere raggiunta con fatica e pazienza. Nei primi undici anni della sua vita il contatto con i Dursley insegna a Harry qualcosa a cui molti adulti, nell’arco di tutta la vita, nemmeno si avvicinano: bastare a sé stessi. Ottenuto questo, qualsiasi cosa venga dopo è tutta discesa.
Remus Lupin
In termini di funzione drammaturgica, Remus Lupin è forse il Mentore più classico: l’insegnante. Non mi riferisco solo al fatto che sia effettivamente parte del corpo docenti di Hogwarts nel Prigioniero di Azkaban: certo, Lupin insegna a Harry Difesa contro le Arti Oscure, ma, molto più importante, gli insegna ad affrontare la paura. Non i timori adolescenziali attraverso cui passano tutti: la vera paura. È infatti con lui che Harry si esercita nell’incanto Patronus, l’incantesimo che scaccia i Dissennatori, definiti da Lupin l’incarnazione della paura stessa. “Affrontare”, ho detto, e non “vincere”: al di là delle formule e dell’agitare la bacchetta, il cuore della lezione di Lupin è che la paura non si può vincere, nessuno è in grado di abbatterla e debellarla per sempre, perché fa parte di noi. Sarebbe sciocco fronteggiare la paura con l’intenzione di eradicarla, una battaglia persa in partenza: farlo è semplicemente impossibile. La paura però può essere affrontata, dominata e gestita; tuttalpiù soffocata o respinta (per qualche tempo). Non per altro l’incanto Patronus allontana i Dissennatori, ma non li elimina.
Sirius Black
Amico fraterno di Remus Lupin, con cui, insieme a James Potter e a Peter Minus formava il quartetto dei Malandrini durante gli anni della scuola, Sirius è la figura che più si avvicina a un padre per Harry. Potremmo considerarlo un Mentore familiare al pari dei Weasley, con qualche differenza di ruolo. Se tra i Weasley Harry trova una famiglia, con Sirius instaura un rapporto diretto, estremamente personale e privato, che sorpassa la dimensione famigliare e la sua funzione di permettere all’Eroe di trovare un suo posto nel mondo, per creare un legame padre-figlio in senso stretto. In Sirius Harry non trova solo calore e accoglienza – per quanto, intendiamoci, siano tesori inestimabili –, ma trova soprattutto corrispondenza, approvazione e liberatoria complicità.
Severus Piton
Nella classificazione di Vogler – che fin qui abbiamo tenuto come traccia generale, in maniera un po’ lasca e flessibile – a Piton sembra calzare la definizione di Mentore negativo, piuttosto vicino alla funzione di antagonista. Come i Dursley (che abbiamo definito Mentori involontari), nemmeno lui ha insegnamenti da dispensare al giovane Harry né oggetti magici da donare. Al contrario gli offre continuamente un cattivo esempio, l’immagine di mago più lontana da quella che Harry persegue. A differenza dei Dursley però, le ombre che lo circondano sono molto fitte per tutto il corso della saga. Nemmeno la grande fiducia che Silente asserisce di riporre in lui riesce a dissiparle, a meno di non fare un atto di fede: il lettore ha sempre il dubbio che Piton stia tramando qualcosa, soprattutto quando apprende della sua passata affiliazione ai Mangiamorte, nella schiera dei più vicini al Signore Oscuro peraltro.
Ma tutta la parabola di Piton è costruita per fuorviare: non solo Harry, ma tutti quanti, amici e nemici, lettore compreso. E impersonando questo ruolo ambiguo, ecco che ora Piton alimenta la rivalità di Harry con Draco Malfoy, ora si pone come ostacolo ai propositi del protagonista. Ma alla fine sarà lui, attraverso un ricordo che Harry consulterà nel pensatoio, a rivelare tutta la verità sul proprio ruolo nella vita di Harry e sulla missione del ragazzo in quanto nemesi designata di Lord Voldemort, trasformandosi così in un Mentore donatore. Piton, al termine di un lungo arco di redenzione, è dunque colui che fornisce alcune delle risposte fondamentali che Harry cercava e rivela come pur dietro una genuina antipatia per il figlio di James, non abbia mai potuto ignorare il fatto che Harry fosse anche figlio di Lily, la donna che ha amato per tutta la vita. L’occhio di Severus Piton è sempre stato vigile e fisso su Harry, come dimostrano i vari interventi in suo favore: durante la partita di Quidditch nella Pietra filosofale, quando la scopa di Harry, incantata da Raptor, tenta di disarcionarlo; o quando Harry, nel Prigioniero di Azkaban, si ritrova nella Stamberga Strillante con un Sirius Black fuggitivo e presunto pluriomicida, e, poco dopo, alle prese con la metamorfosi di Lupin in lupo mannaro; o ancora il tentativo, sebbene imposto e alla fine infruttuoso, di insegnare a Harry l’Occlumanzia per arginare il legame mentale tra il ragazzo e Voldemort.
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L’Eroe, in compagnia del suo Mentore oppure no, ma comunque forte dei suoi insegnamenti, si troverà presto a fronteggiare degli ostacoli. Spesso tali impedimenti sono incarnati da guardiani posti sulla soglia del nuovo mondo che l’Eroe si accinge a esplorare. Vogler li definisce appunto Guardiani della soglia e rappresentano la prima prova da superare, il saggio della motivazione e della volontà dell’Eroe. Ne parleremo la prossima volta.
A presto!
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Note
[1] Sono stato uno di quei bambini fortunati che agli inizi degli anni Duemila hanno visto esplodere il fenomeno Harry Potter, se ne sono lasciati travolgere con estasi e lo hanno vissuto appieno, divorando i libri pagina dopo pagina, più volte, e morendo un po’ nell’attesa di ogni nuovo capitolo. Dalla prima, storica traduzione ho ricevuto un imprinting ormai più che ventennale a cui sono molto affezionato, perciò Fanny, così come Tassorosso, Piton, McGranitt, Minus ecc., restano così. Non li chiamerò Fawkes, Tassofrasso, Snape, McGonagall e Pettigrew… Trovo che la prima traduzione abbia fatto un pregevole lavoro di adattamento (adattamento! Spesso ci si dimentica di questa parte del processo traduttivo), e la dimostrazione è che, pur nei tradimenti (“Silente” esprime un concetto opposto a “Dumbledore”; i colori di “Tassorosso” sono giallo e nero e quelli di “Corvonero” blu e bianco), ha creato un immaginario e ha avuto un fortissimo impatto culturale. E, in generale, non apprezzo le restaurazioni.