Un po’ di storia editoriale
È il 7 novembre 2019 quando sugli scaffali delle librerie ricompare, dopo quattordici anni, il romanzo Casa di Foglie dello statunitense Mark Z. Danielewski.
Scritto nel corso degli anni Novanta e pubblicato online, esce nelle librerie statunitensi nel 2000, mentre in Italia vede la luce solo nel 2005, nella collana Strade Blu di Mondadori. Nel nostro Paese il motivato interesse verso quest’opera è tempestivo, malgrado l’effettivo ritardo nella pubblicazione: come riporta il Post (in un articolo uscito a ridosso della nuova edizione e che trovate qui), l’allora direttore editoriale della collana Strade Blu Edoardo Brugnatelli aveva intercettato il romanzo addirittura prima che fosse pubblicato all’estero; tuttavia l’enorme complessità e le difficoltà traduttive ne hanno dilazionato l’uscita di ben cinque anni rispetto al mercato americano. Poco male, se non fosse che, dopo un primo momento di fulgore che ha prodotto fra l’altro una ristampa, Casa di Foglie è scomparso dai radar, dal catalogo Mondadori e dalle librerie.
L’indubbia complessità e la sua novità sul panorama editoriale, unitamente alla sua condizione di desaparecido letterario, hanno creato intorno al romanzo un’aura di leggenda e cultismo. Rari esemplari mondadoriani sono ancora reperibili su e-bay a prezzi proibitivi (tra i 100 e i 200 euro, ma ai tempi dell’articolo del Post si è arrivati a sfiorare i 250), o addirittura in copie anastatiche pirata.
In anni più recenti il romanzo è stato accolto dalla casa editrice romana 66thand2nd, che lo corteggiava già dal lontano 2008 ed è finalmente riuscita a riportarlo nelle librerie in una edizione pregevolissima e fedele all’originale fin nei minimi particolari grafici, cosa, questa, che l’edizione mondadoriana non era stata fino in fondo.
Un romanzo ergodico
Ma al di là di tutto ciò, che cos’ha di speciale Casa di Foglie?
Non ci sono in giro molti romanzi come questo. L’opera di Danielewski infonde nel genere romanzo un estremo sperimentalismo letterario e grafico, inserendo il testo nel novero della cosiddetta letteratura ergodica.
“Ergodico”, termine preso in prestito dalla meccanica o, più in generale, dalla fisica, viene declinato per la prima volta in ambito letterario nel 1997 dallo studioso norvegese Espen Aarseth, a indicare un testo che richiede al lettore uno sforzo superiore alla “semplice” applicazione mentale alla lettura; un testo ergodico esige una partecipazione fisica, che porti il lettore a manipolare il libro in quanto oggetto duttile, modificabile, orientabile nello spazio ecc.
Questa caratteristica in Casa di Foglie si accorda alla struttura che Danielewski ha voluto dare al suo romanzo, struttura che vive di un rapporto simbiotico e per questo inscindibile con il contenuto.
E allora parliamone
Malgrado complessità dell’opera e miei limiti personali cospirino per impedirmi di stendere una trama esaustiva ma che non sveli troppo, chiara ma che allo stesso tempo restituisca un’idea generale del groviglio che è Casa di Foglie, proverò lo stesso a raccontarla.
Johnny Truant è stato sfrattato e cerca una nuova sistemazione; il suo amico Lude gli fa sapere che nel suo palazzo si è liberato un appartamento: l’anziano inquilino, il misterioso Zampanò, è morto. Johnny accetta di dare un’occhiata all’appartamento e lo trova stipato di innumerevoli pagine scritte fittamente in modo spasmodico e ossessivo. Presto si rende conto che quelle pagine formano un manoscritto che non si compone solo di normali fogli, peraltro scritti e riscritti fin quasi a essere incomprensibili: Zampanò ha preso appunti su quasi ogni superficie o materiale sui quali fosse possibile scrivere.
Come ho scoperto in seguito, lì dentro di pagine ce n’erano proprio tante. Grovigli infiniti di parole che contorcendosi andavano a formare un significato, ma più spesso no, e si diramavano in frammenti sempre nuovi in cui mi sarei imbattuto più avanti – su vecchi fazzoletti, sui bordi sgualciti di una busta da lettere, una volta perfino sul retro di un francobollo; non c’era nulla, ma proprio nulla, su cui non fosse stato scritto qualcosa; tutto era ricoperto di anni e anni di dichiarazioni affidate all’inchiostro, sovrapposte, cancellate, corrette, scritte a mano, a macchina, leggibili, illeggibili, imperscrutabili, chiarissime, lacerate, macchiate, tenute insieme con lo scotch; alcune integre e linde, altre scolorite, bruciate o piegate e ripiegate così tante volte su loro stesse che le pieghe avevano ormai cancellato interi brani di dio solo sa cosa – senso? verità? inganno? Un’eredità profetica o folle o forse niente del genere? Un espediente, in definitiva, per designare, descrivere, ricreare – scegliete un po’ voi la parola, io le ho finite; oppure ne ho ancora molte, ma perché? e per dire… cosa?
Il manoscritto di Zampanò si rivela un saggio critico su un documentario apparentemente inesistente girato da un certo Will Navidson, fotoreporter, all’interno della sua nuova casa. Ben presto Navidson nota che la dimora ha caratteristiche quanto meno singolari, se non sinistre: in alcuni punti, gli interni sono più ampi degli esterni e, laddove non c’era, sul muro compare una porta che conduce non alla stanza adiacente, bensì a uno spazio oscuro e immenso, all’apparenza infinito per estensione, profondità e permutazioni, fatto di dedali bui, scale che si perdono tra le ombre, muri che cambiano posizione e con essa la geografia del non-luogo che Navidson decide di esplorare e documentare con la sua telecamera, girando il documentario irreperibile che Zampanò descrive, analizza e cita come La versione di Navidson.
Dunque Johnny Truant riordina le carte del vecchio scrittore aggiungendo nuove note, traduzioni, considerazioni personali, aneddoti, appendici… Nel suo tentativo di ricostruzione filologica, Johnny rispetta anche tutte le bizzarrie grafiche del redattore originale, che si ritrovano nel volume di Casa di Foglie. Ed è proprio qui che emerge il carattere ergodico di questo racconto: font diversi identificano diversi piani di lettura e le diverse attribuzioni dei testi, a cui il lettore deve adattarsi; normali formattazioni si alternano a paragrafi dalla disposizione grafica peculiare (ora quadrata, triangolare o circolare, ora in una o più colonne, spiraleggiante ecc.); numerose pagine sono campite da spazi bianchi che quasi annullano il testo, fino a ridurlo a una sola frase, parola o sillaba stesa in margine, al centro, nell’angolo… Consistenti porzioni di testo sono orientate al contrario, cosa che costringe a ruotare il libro di 90 o 180 gradi per leggerle; altre sono riflesse in modo da essere leggibili solo allo specchio, e cercare uno specchio è proprio la cosa più naturale da fare per averne accesso. Seguono le note, numerosissime e spesso a loro volta annotate da postille altrettanto estese che spingono il lettore ad avanzare di decine di pagine, per poi tornare indietro e riprendere il filo del discorso dove lo aveva interrotto, uno, due, tre livelli più in alto.
Insomma l’architettura di Casa di Foglie trova riscontro perfetto nel contenuto frammentario, folle, dissociato, in cui è quasi impossibile mettere ordine a meno di non cedere alla pazzia (condizione che in verità Johnny Truant sfiora spesso), perché estetica e contenuto non sono due aspetti semplicemente giustapposti, convergenti o complementari, ma inscritti simultaneamente, in maniera inscindibile e indistinguibile nel DNA di quest’opera che abbiamo l’occasione di rileggere.
Chi già l’avesse fatto, sa di cosa parlo e potrebbe essere tentato di calarsi di nuovo nella materia magmatica di questo romanzo, che proprio come qualcosa di estremamente caldo, rende l’aria liquida intorno a sé e distorce la visione con la sua radiazione infrarossa. Chi invece non lo avesse ancora letto, non si lasci scappare una simile opportunità.
***
Un paio di consigli per avventurieri letterari, prima di salutarci
Andate personalmente in libreria ad acquistare la vostra copia di Casa di Foglie, per due ragioni: la prima e vitale, sostenere la vostra libreria di fiducia; la seconda, controllare che la vostra edizione sia integra (cosa che ovviamente potete fare anche subito dopo un acquisto online, ma sostenere una libreria è sempre una buona cosa, quindi perché no?).
Ad ogni modo, che cosa intendo per “controllare che la vostra edizione sia integra”? Nella mia copia (e penso in molte altre della stessa tiratura) si ripete due volte il blocco di pagine dalla 261 alla 292 e contestualmente manca la segnatura formata dall’intervallo di pagine 293-324. Io ho comprato la mia copia online e l’ho iniziata dopo più di un mese dall’acquisto. Peraltro il grave errore di impaginazione si trova quasi a metà romanzo, quindi me ne sono accorto molto tardi, ben oltre il termine ultimo per il reso. Dato anche il prezzo piuttosto alto (29,00 euro) ho deciso di non acquistarne un’altra copia, ma di prenderne una in prestito in biblioteca per recuperare la trentina di pagine mancanti. Ammetto che la cosa all’inizio mi ha contrariato parecchio, ma tant’è. Ora lo sapete anche voi, perciò state all’occhio!