Una scatola foderata di specchi
Il breve pezzo che state per leggere è uscito nell’ottobre 2017 sul numero 1 della rivista Lexis. I libri che non ti aspetti, distribuita dalla Libreria CLU (ora Libreria San Fermo) di Pavia dall’estate di quello stesso anno all’autunno del successivo. Pochi sanno di cosa si tratti ed è un peccato; per i più che ignorano l’esistenza di questo progetto, lo introdurrò partendo dalla fine.
Lexis non c’è più e non ne troverete copie in giro, a meno di non andare alla CLU, sperando che, a distanza di anni, qualche copia sia rimasta a prendere polvere in attesa che arrivasse qualcuno a reclamarla.
Lexis non c’è più non perché sia un progetto concluso, ma perché si è interrotto e chissà mai se verrà ripreso o rinnovato.
Si trattava di un bimestrale di cultura letteraria; ogni numero era e sarebbe stato incentrato su un argomento cardine: Shakespeare per il numero d’esordio, pubblicato come numero unico, una sorta di beta test fuori conteggio; le bestie e l’animalità in senso lato per il numero 1; il silenzio, infine, per la terza e ultima uscita – numero 2 nella cronologia editoriale, ma cifrata erroneamente come “numero 3”.
Diversi autori a diverso titolo avrebbero indagato le declinazioni letterarie degli argomenti prescelti, i loro risvolti culturali, i temi tangenti, le produzioni derivate… Insomma l’intento era quello di sviluppare e divulgare idee dense di studio, ma non per forza indirizzate a un pubblico di specialisti delle lettere. Anzi, la rivista, pur nata all’ombra dell’Università di Pavia, non ne era un’emanazione istituzionale, voleva scavalcare gli indirizzi accademici ed era idealmente rivolta al pubblico eterogeneo di chi avesse fame di prospettive nuove e diversificate. Se dovessi tradurre lo spirito del progetto in un’immagine, sarebbe quella di una scatola foderata di specchi in cui calare un oggetto per osservarlo attraverso uno spioncino da innumerevoli angolazioni allo stesso tempo.
Bene, il numero 1, intitolato Bestie, cadde non a caso nel centenario della pubblicazione dell’opera omonima di Federigo Tozzi e sul quale Davide Ferrari, caro amico e allora direttore editoriale della rivista, scrisse un bell’intervento di presentazione, già pubblicato in un volumetto celebrativo dell’opera tozziana e che potrete leggere nella prossima fronda. Io invece intervenni con un pezzo sui bestiari medievali, che potrete leggere nella fronda ancora successiva, in chiusura di questo piccolo nucleo tematico sull’animalità che mi piaceva sottrarre alle pagine inerti, per quanto belle, di un esperimento non riuscito.
In coda alla rivista, nella sezione dedicata alle recensioni, lasciai un ulteriore contributo (un modesto invito alla lettura) che, riveduto e corretto, voglio riproporre oggi. L’intenzione, come sempre, è di indirizzare verso buoni libri, e trattandosi di Borges credo di andare sul sicuro.
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Jorge Luis Borges
Il libro degli esseri immaginari
Un miracolo supplementare:
l’inimmaginabile
è immaginabile.
(Wisława Szymborska)
Non è saggio per i marinai approdare a un’isola sconosciuta, sbarcare e accendere fuochi per scaldarsi o cucinare. Lo zaratan sente la fiamma sulla schiena e si rivela. Inabissandosi, con sé trascina al fondo delle acque le imbarcazioni e gli uomini che l’avevano creduto un porto.
Chi ha raccontato per primo questa storia? Esiste davvero lo zaratan? Qualcuno lo ha mai visto? Come il drago, la fenice, il t’ao-t’ieh e molti altri, appartiene al popolo degli esseri immaginari che anima da millenni storie, leggende e mitologie di tutto il mondo. Borges ne seleziona e raggruppa centosedici in un catalogo che abbatte ogni geografia fisica e culturale per accogliere in un volume il frutto delle tradizioni più distanti. Un bestiario moderno, il suo, che si muove tra il folclore e l’interesse antropologico, e spinge a chiedersi come e perché nascano i mostri leggendari più impensati, e a contemplare la grandezza e la capillarità dell’immaginazione che li genera.
Borges non vuole creare un sistema: l’ordine degli «esseri immaginari» segue il semplice criterio alfabetico. Ciò per rendere migliore la frequentazione del volume, che per altro Borges stesso auspica non sistematica, e preservare così il carattere magmatico delle tradizioni, che da sempre si alternano, si adombrano e si contaminano a vicenda. Più che un Manuale di zoologia fantastica – come titolava la prima edizione, del 1957 –, è il diario di un itinerario fantastico, dalle vette di mistica purezza dell’A Bao A Qu, ai mari abissali sulla cui superficie riposa lo zaratan, simile a un atollo, prima di tradire ignari naviganti.
Un libro «necessariamente incompleto: ogni nuova edizione è il nucleo di edizioni future che possono moltiplicarsi all’infinito» in un circolo virtuoso di invenzione che diviene emblema, tradizione e dunque seme identitario della civiltà umana.