Alfredo Pagnotta
Seth il dolorante
e altri racconti perturbanti
Una chicca in self-pub
da non perdere!
Un paio di considerazioni preliminari sulla forma racconto
In Italia la forma narrativa del racconto[1] non gode (più) di grande fortuna, ma no, non è morta e sepolta. Prova ne sia la candidatura allo Strega 2024 di La meccanica dei corpi di Paolo Zardi. Checché se ne pensi del premio, resta una vetrina importante, anzi forse la vetrina per eccellenza, e il fatto che vi concorra una raccolta di racconti è già un segnale di vita (poi chissà come andrà a finire: nel momento in cui scrivo si sono appena concluse le proposte).
Però, se facessimo un breve ripasso della storia dello Strega – già che ne stiamo parlando –, ci accorgeremmo che le raccolte di racconti vincitrici sono state dieci su 77 edizioni del Premio[2]; sei di queste solo negli anni Cinquanta; l’ultima nel 1999. Non che le sole raccolte ad aver aderito poi abbiano anche vinto; è chiaro che ne saranno state candidate altre, ma i risultati (con l’indotto di attenzione mediatica che ne è derivata) sono questi. Non proprio indice di buona salute, ecco.
Si sente dire spesso che in Italia il racconto non ha mercato. In effetti è difficile pubblicare racconti, tanto più se con dei racconti uno spera di esordire. Ma per quale motivo?
Non credo che la radice del problema sia da ricercare nella disaffezione generale alla lettura da parte degli italiani. Perché è vero che molti, troppi, non leggono, ma qualcuno che legge rimane, eppure il racconto soffre comunque anche tra i lettori forti.
In un articolo uscito su Vice nel 2016, Vanni Santoni si interroga sulle ragioni che portano Sellerio a definire “undici brevi romanzi” quelli che compongono la raccolta I miei documenti di Alejandro Zambra, allora di recente uscita. 233 pagine spartite in “undici brevi romanzi” significa grossomodo una ventina di pagine per ogni testo, pagina più, pagina meno. Per essere brevi, lo sono davvero… Ma perché tanta reticenza a definirli racconti? Che sia un tentativo di “nobilitare” l’opera di Zambra? Se così fosse, però, dovremmo tristemente dedurne che il racconto va considerato un’arte minore. Oppure è semplice opportunità? Intendo: undici racconti non li vendi, ma undici brevi romanzi forse sì.
Che non sia , questo, il sintomo di un generale disinteresse – o mancanza di coraggio e visione – da parte degli editori verso il racconto? Sarebbe troppo comodo dare la responsabilità della cosa al “mercato”, come se fosse un’entità capace di fare il bello e il cattivo tempo in totale autonomia. Il mercato è domanda e offerta. L’editore offre, il lettore acquista. Già. Ma acquista quello che c’è. Se gli editori non scommettono sui racconti, ce ne saranno sempre meno e saranno sempre meno visibili; il pubblico non ne sarà attirato o non si accorgerà di loro, perciò non ne comprerà e non ne leggerà. Come ritorno, gli editori avranno l’impressione che il racconto non renda e tenderanno a non pubblicarne; allora il lettore ne troverà ancor meno di prima e così via, in un circolo paradossale in cui l’effetto produce la propria stessa causa. Come se ne esce? Non ho la formula in tasca, ma sono convinto che con un po’ di audacia e oculatissima spigolatura, qualcosa di buono lo si trova di certo.
E però, ora stiamo come stiamo. È quindi tutto perduto? Nì. Nel senso che forse a scrivere racconti non si viene calcolati troppo, ma le ragioni del narrare e i movimenti tellurici che soggiacciono alla creatività degli scrittori non guardano poi troppo al mercato. In altre parole: chi vuole scrivere continua a farlo, a prescindere da tutto. Chissà quale fioritura di bei racconti macera nei cassetti di autori sconosciuti e meritevoli! Racconti che non vedranno mai lo scaffale di una libreria, non una presentazione, né un pezzo che parli di loro su un misero blog come questo. Non è difficile da immaginare: se le uscite editoriali sono tante, più di quante il mercato possa assorbirne, le proposte che gli autori avanzano ma che – per qualsiasi ragione – non trovano casa presso un editore sono molte, molte, molte di più. Insomma, i testi editi sono la punta dell’iceberg. I testi editi e con successo di pubblico sono l’ultimo fiocco di neve che su quella cima si posa. Il 90% della massa che resta rimane sommerso.
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Veniamo al punto
Ma, dicevamo, a prescindere dal mercato e dagli editori, chi vuole scrivere continua a farlo (ché se scrivessimo col solo movente di venire notati, tanto varrebbe fare dell’altro). Ci vuole passione e, beninteso, non la passione retorica e astratta – che poi è infatuazione di sé – di chi vagheggia di avere un giorno il proprio nome su una copertina, come una medaglia. No, intendo la passione concreta, cioè quella spinta interiore che si traduce in dedizione, studio, sperimentazione, fallimento, nuovi tentativi, lavoro di lima, ricerca di una voce e di una visione, liberi – se già non si è caduti in trappola – dai condizionamenti dei tanti guru che promuovono brutte sciocchezze (proprie o di altri) e allo stesso tempo pretendono di insegnare a scrivere. (Ma non apriamo questa porta.)
C’è un autore, di nome Alfredo Pagnotta, in cui mi sono imbattuto ascoltando audiolibri su YouTube, che riunisce in sé tutte queste disposizioni e che le ha messe a frutto in una raccolta d’esordio composta da nove racconti strepitosi intitolata Seth il dolorante e altri racconti perturbanti.
La considero una vera chicca e, dal momento che so la bassa considerazione generale (soprattutto dei librai) verso i libri autopubblicati (ancor peggio se tramite il print-on-demand di Amazon), voglio sgombrare subito il terreno da potenziali equivoci o pregiudizi: Seth il dolorante meriterebbe un posto nel catalogo di un vero editore. Se lo fossi io, un editore, non mi lascerei scappare l’occasione di pubblicarlo. Ma sono solo un editor e non ho questo potere. Però ho il potere di parlarne e di cercare di farlo conoscere.
Quindi, che razza di creatura è questa raccolta? Il titolo parla da sé: racconti perturbanti. Riassunto efficace, necessario, ma a dire il vero non del tutto esaustivo. Sarebbe impossibile.
I testi attingono dall’ampio bacino della letteratura fantascientifica e dell’orrore, ma sono carichi di una fortissima componente psicologica. L’escavazione; lo studio della psicologia dei personaggi; la loro caratterizzazione estremamente credibile, dettagliata e beneficiaria di una prosa tutt’altro che prolissa sono le cifre fondamentali di Alfredo Pagnotta. Il risultato è una sorprendente modulazione di stili che dal medesimo processo di calata nell’interiorità dei protagonisti riesce a trarre risultati estremamente diversi ma intonati. Pagnotta resta ben riconoscibile pur variando e giocando con lo spettro narrativo.
In questo è aiutato da illustri modelli letterari. Prendiamo l’eponimo Seth il dolorante: non dirò che cosa racconta, non accennerò neanche lontanamente alla trama (leggetelo!); mi limiterò a sottolineare la chiarissima presenza di Lovecraft nelle pieghe delle vicende di Seth e Lava Axel; presenza sulla quale Pagnotta innesta un’efferatezza dolorosa (il titolo è più che centrato), una sanguinosa progressione di eventi che a poco a poco, in maniera sempre più inquietante, sfogliano la verità intorno all’impalcatura di mistero e indicibile ferocia su cui si regge il personaggio di Seth.
Oppure prendiamo Il senso: di fatto, una cosmogonia debitrice della più alta letteratura di genere; un gioco di intrecci fra i pilastri della fantascienza e quelli della religione, fra evoluzionismo e creazionismo, razionalismo e mitologia. Una toccante speculazione sull’origine dell’esistenza poggiata sui toni distesi di una narrazione cosmica, larghissima, che abbraccia la vita dell’universo e immagina una spiegazione al tutto. Non già però un tentativo di affrontare l’annosa questione dell’esistenza prima dell’esistenza, dal momento che nemmeno i protagonisti del racconto sono increati; piuttosto, come recita il titolo con discreta concisione, la ricerca si volge verso il senso delle cose, si concretizza in un’elaborazione narrativa avventurosa, affascinante e profondamente romantica della domanda che fra tutte – e sempre – suscita l’urgenza massima di una risposta: “perché?”.
O ancora, come non nominare La violazione di numerose leggi della fisica per mano del geniale Kirk Änderwelt, l’interessante racconto delle imprese di un metagenio, un Prometeo contemporaneo (moderno era il dottor Frankenstein) che si lancia in un volo d’Icaro nella (fanta)scienza, ma che, per restare nella metafora, se la gioca ad armi pari col sole.
Basta, non dirò altro. Non che abbia svelato molto, in verità, ma una mente acuta riesce a trarre conclusioni indesiderate anche da minimi indizi e io non voglio rovinare la lettura a nessuno.
Esorto chiunque passi di qui a leggere Seth il dolorante e a leggere racconti in generale (vale anche per me, che sto fra i peccatori), a parlarne e a farli conoscere.
Alla prossima!
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Note
[1] Mi riferisco a racconti di autori italiani, non ai grandi nomi del mainstream internazionale contemporaneo come King o Ligotti, e nemmeno ai classici del Novecento, immortali, come Lovecraft, Asimov, Bradbury, Poe, Philip K. Dick e altri chiari modelli, nutrimenti dell’ispirazione di Alfredo Pagnotta di cui parliamo qui.
[2] Fino al 2023, si intende. A futura memoria, ribadisco che nel momento in cui scrivo (e pubblico) questo pezzo manca poco meno di un mese all’annuncio delle candidature ufficiali all’edizione di quest’anno, previsto per il 5 aprile 2024.