Piranesi veste la Casa come un abito su misura che un sarto capace abbia confezionato per lui: con naturalezza. Ne attraversa i Corridoi, ne descrive le Sale, ne contempla le Statue, ne accudisce i Morti e annota tutto nei suoi Diari, nel tentativo di risolverne un giorno la sconfinata geografia. Piranesi è un esploratore adamitico, scopre, osserva, nomina gli oggetti, e nei suoi scritti dà loro iniziale maiuscola a suggerirne la natura di archetipi. Ma per quanto sia penetrato nei recessi della Casa, è ben lontano dal districare la matassa del suo mistero, dal contarne gli spazi, indicarne le posizioni relative e assolute, le permutazioni. La Casa si dispone su tre piani, dei quali soltanto il mediano pare abitabile e pienamente accessibile, per quanto non ancora esaurito. Il piano inferiore è regolarmente invaso da poderose maree che ne rendono l’esplorazione difficoltosa quando non impossibile e gli abissi celano innumerevoli Saloni di cui nulla verrà mai alla luce; il livello superiore è freddo, altrettanto inospitale e talvolta invaso da nubi.
Di ciò che è possibile apprendere, Piranesi sa tutto, o quasi. Esiste infatti una Conoscenza sopita, in qualche angolo della Casa, grande e perduta, sulle cui tracce si muove l’Altro.
Poco sa Piranesi dell’Altro, se non che è uno scienziato e un esploratore come lui, alla ricerca di questa Conoscenza. Da essa deriverebbero poteri inimmaginabili che riporterebbero l’uomo ai suoi antichi fasti, quando somigliava a una divinità. Rintracciarla però richiede pazienza, perseveranza e coraggio; richiede di esplorare il dedalo della Casa fino a raggiungerne i più intimi capillari e tale diventerà il compito di Piranesi per favorire gli studi dell’Altro. Ma che faccia attenzione: qualcuno si aggira nella Casa, qualcuno di inaspettato e pericoloso. Egli è 16, la sedicesima persona di cui si compone il genere umano, al netto dell’Altro, di Piranesi stesso e delle spoglie delle tredici persone che il protagonista, con il sacro rispetto dovuto ai morti, accudisce e onora. 16 è un’ombra infida, vorrà confonderlo riguardo a ciò che conosce del mondo, o meglio, della Casa: che Piranesi dunque non parli mai con lui, ammonisce l’Altro, che stia lontano… Intanto, le verità che si celano nel labirinto di stanze e vestiboli urgono di essere svelate.
Un fantasy?
Susanna Clarke regala una perla che solo per comodità compilatoria si iscrive nel genere Fantasy, ma che Fantasy poi non è. Non nel senso classico del termine, quantomeno, né nel suo senso più generale e tentacolare nelle sue numerose declinazioni. Piranesi è Piranesi: una tautologia, certo, ma tesa a dire che Piranesi ha sé stesso come oggetto. Sospeso in un tempo non specificato, assimilabile a un recentissimo passato – per alcune notazioni cronologiche presenti nella narrazione –, la vicenda si dipana su un piano autarchico, dove lo scorrere delle ore è segnato dal ricorso delle maree, dal sorgere e tramontare del sole, ma non condivide tali riferimenti con un mondo più ampio. Piranesi è solo nella Casa, per quanto la saltuaria compagnia dell’Altro sembri contraddire questa affermazione. Eppure è così: la sua avventura, il suo peregrinare, il suo catalogare ambienti e statue, il calcolare ora e portata delle maree sono attività irrelate da qualsiasi cosa conosciamo, e solo di quando in quando l’esperienza di Piranesi e quella dell’Altro diventano tangenti; ma anche a quel punto, lo scambio avviene tra due solitudini che solo a giorni alterni trascorrono parallele. E dunque con il tempo, anche la dimensione esistenziale galleggia in sospensione.
Uno scavo elegante
L’aura di mistero prodotta da questa impostazione ucronica e, in senso stretto, utopica, è supportata da innesti memoriali che a poco a poco dipanano le nebbie sugli aspetti salienti dei personaggi, fugano le ombre sulle reciproche connessioni e sui rapporti, maturando in aggiunta un’avvincente vena investigativa alla cui trama si intreccia l’ordito dei temi portanti: la conoscenza, l’ossessione, l’identità.
Non è dunque l’azione la spina dorsale di questo romanzo, né l’avventura nella sua accezione romantica di peripezia, bensì lo scavo, agile e calibrato, mai gravoso, verso la verità. La prosa e lo stile di Susanna Clarke sono garbati, privi di attrito e per questo piacevoli di per sé stessi, ma infusi anche di una tesa eleganza ben accordata alle atmosfere turneriane che plasmano l’immaginario della Casa; inoltre la scelta della prima persona – Piranesi parla attraverso le annotazioni del proprio Diario –, nella sua apparente facilità di gestione, contribuisce in larga parte al carattere immersivo della lettura.
Un felice ritorno
Piranesi si rivela per Susanna Clarke un felice ritorno sulla scena letteraria dopo più di quindici anni dal suo primo lavoro, Jonathan Strange e il signor Norrell (2004; prima ed. italiana: Longanesi, 2005).
Se ancora non avete letto nulla di questa autrice e la mole del suo primo romanzo (quasi 900 pagine) vi scoraggia, Piranesi potrà essere un eccellente (e agilissimo) biglietto da visita: leggetelo, ne varrà la pena.